Vincere o perdere, vivere o morire hanno lo stesso sapore



      « Questi si affidano
ai numi immortali: non piantano alberi,
non arano campi; ma tutto dal suolo
per loro vien su inseminato e inarato,
orzo e frumento e viti che portano vino
nei grappoli grossi, che a loro matura
la pioggia celeste di Zeus »
(Odissea, IX, 107-111)

Che spettacolo e  che magica lezione di vita e di sport in quelle 4 ore e 37 minuti  di epiche gesta. Non hanno risparmiato nulla i due ciclopi del tennis mondiale che forgiano, in ogni loro colpo, fulmini per Zeus. Hanno tirato fuori dal loro repertorio tutto l’immaginabile e oltre. Rafa è arrivato perfino a fare punto su una risposta sotto le gambe lasciando basito lo stesso Novak che nel quarto set ha dovuto chiedere aiuto direttamente al suo angelo custode per non essere schiacciato dal bulldozer forgiato sull’isola di Maiorca con materiali nobili, grazie all’opera degli dei. Due fenomeni che quando giocano sembrano destinati a lasciare il segno negli animi di chi ama lo sport indipendentemente che sia tennis, canoa o atletica leggera. Già dopo i primi due set non si riesce più a stare seduti sul divano di casa. Neppure gli spettatori sul rosso campo parigino sembrano godere della tranquillità necessaria per gustarsi il match sulle loro seggioline colorate pagate in euro sonanti.  Il gioco si fa sacro quando il serbo non ci sta a lasciare il campo prima di arrivare al quinto set. Negli occhi dello spagnolo si legge la determinazione, la voglia di arrivare alla sua ottava finale in nove edizioni e il desiderio di urlare al mondo che Rafa è tornato dopo aver tanto sofferto per 7 lunghi infiniti mesi. Dopo essere tornato sui campi di periferia per non dimenticare il sapore del sangue, della polvere, delle tribune deserte, là dove ha ricostruito il suo essere unico.  
Guardare Nadal e Djokovic giocare  è come guardare un’opera d’arte di Michelangelo: semplicemente perfetta, si potrebbe scrivere una Treccani di come dovrebbe essere il tennis moderno, anzi di come sarà il tennis futuro!  Impossibile non entrare in loro ed iniziare a sudare; impossibile mantenere la frequenza cardiaca di chi è seduto comodamente davanti al televisore; impossibile non soffrire; impossibile non vivere la tensione; impossibile non sentire l’intensità di ogni colpo sulla racchetta; impossibile non percepire il dolore che dopo ogni risposta ti assale in ogni parte del corpo; impossibile non godere e tirare un respiro di sollievo quando Rafa si slaccia le scarpe che portano il segno della drammatica battaglia appena conclusa. Impossibile non soffrire quando, prima dell’intervista, si toglie la fascia sul ginocchio bianco, mentre il resto del suo corpo esposto al sole è color della terra del campo di gioco, come i suoi pantaloncini.
In quei gesti unici, sublimi, incantevoli  si vive la tragedia e la soddisfazione di un’altra battaglia vinta. Come vada a finire questa edizione del  Roland Garros poco conta... la vera finale è già stata disputata!  
Poi, quando il cuore torna a battere regolare, le mani non sudano più e si inizia a metabolizzare quanto vissuto, si inizia a capire che, come da tutte le battaglie, quanto visto e vissuto resterà a lungo nella tua anima ti accompagnerà nei tuoi pensieri, nei tuoi  momenti bui per prendere energia e capire che fino all’ultimo respiro bisogna lottare, crederci. Vincere o perdere, vivere o morire sono condizioni che comunque hanno lo stesso valore, unica condizione sine qua non è vendere cara la pelle. 

Occhio all’onda! 

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