Il confine tra Brasile e Paraguay a Foz de Iguacu è un mondo a parte. Tutto impressiona. Tutto sembra irreale. Tutto è troppo come nei film e nella fantasia sud-Americana di tutti noi. Eppure esiste, vive, pulsa, scorre come il tempo che in questo luogo, Ciutad dell’Este, sembra battere più velocemente che altrove. Un ponte sul fiume Paranà unisce le due città che in sostanza si sono fuse in una realtà unica. Si parla una lingua che non è nè portoghese nè spagnolo ma una loro evoluzione. Brasile - Paraguay, uniti da un unico destino: la diga di Itaipu che è stata ribattezzata per l’appunto Binacional. Una lunga vicenda politica nei primi anni ’70 per trovare un punto in comune con lo scopo di costruire e produrre energia elettrica su un fiume che si vede diviso in due da un confine.
Passi quel ponte e scopri che la vita ha altri valori, ha colori diversi, ha emozioni e profumi che fatichi ad individuare. Un aspetto futuristico in un contesto di povertà. Palazzi di negozi senza prodotti esposti sostituiti da una miriade di persone che ordinano e acquistano davanti ad un terminale. Tu devi andare lì con idee chiare sul prodotto che ti interessa e sei sicuro di portarlo via al miglior prezzo possibile in quel momento al mondo. Da qui passa tutta la cocaina del Perù verso gli Stati Uniti e verso l’Europa. Qui puoi tornartene a casa con una “Colt” o una “Magnum” senza problemi, nascondendo all’occorrenza anche qualche bomba a mano sotto il sedile della macchina. L’unica cosa che devi fare è mostrare il colore verde della moneta dello “Zio Tom”. Qui le guardie passano a ritirare le casse con i fucili a pompa e al confronto Terminator è un dilettante. Si posizionano agli angoli del negozio, tre di loro coprono le spalle della guardia che ritira l’incasso e, come i romani contro i galli, lo scortano dietro a scudi crociati.
Qui tutto vale soldi, anche la vita delle persone che, se non rispettano i giochi economici e la legge della strada, pagano salato il conto. Nessuno si scandalizza a vedere, sotto le insegne luminose delle grandi multinazionali, ragazzini che a piedi nudi e sudici, vestiti di stracci, corrono da una parte all’altra per portare pacchi che certo non sono per loro. Nessuno si scandalizza nel vedere vecchi senza età rovistare nella spazzatura per ricavarci il cibo quotidiano. Si vende tutto e di più. Pensate una cosa e qui c’è.
Da tutto il Brasile si organizzano pullman per venire ad acquistare coperte, materassi, jeans, magliette, ma anche accessori come I-phone, computer, altoparlanti per le auto che quando passano ti assordano per la potenza dei loro impianti musicali. Le liste di nozze si fanno durante il viaggio assieme ai futuri sposi che prima passano da qui per il corredo nuziale con amici e parenti.
Pullman sgangherati che magari hanno fatto tre giorni di viaggio e altrettanti dovranno fare per tornare a casa carichi di mercanzie. Viaggiatori che per tutto questo tempo vivono su poltrone di velluto, sulle stesse poltrone dormono, mangiano, giocano, parlano, scherzano, amoreggiano, e poi ancora mangiano, giocano...
Tempi morti lunghissimi alla frontiera per ispezioni che sanno tanto di tangente che la gente paga senza rinunciare però a contrattare come contratta gli acquisti per intere ore.
Ma ciò che veramente mi ha sconvolto e mi ha lasciato attonito è la chiusura dei banchi a fine giornata. Migliaia di venditori raccolgono le loro mercanzie e iniziano a impacchettarle con la massima cura. Magliette, cappellini, pantaloni, costumi, giacconi, asciugamani, coperte, cianfrusaglie di ogni ordine e genere vengono sistemate in scatoloni di cartone ricoperti da sacconi neri e sigillati con montagne di schotch. Il tutto viene depositato su carretti o furgoni che spariscono con l’accendersi delle luci della città. L’operazione è lunga, meticolosa, attenta, fra urla, mezzi e persone che mangiano, bevono, acquistano a loro volta e vendono le ultime cose. Una corsa per accelerare i già frenetici tempi di rimessaggio. Tutti si muovono come le formiche che trasportano le foglie all’interno del loro formicaio seguendo gesti che arrivano dall’istinto di sopravvivenza. Domani l’operazione inversa e alla fine ancora una volta tornerà come ora per 364 giorni all’anno si chiude solo a Natale! Le strade all’imbrunire sembrano essere state saccheggiate da Unni senza pietà, sembra impossibile che domani si riprenderà questa giostra in una città miracolosamente ripulita e lavata.

Sto rientrando a casa dopo aver fatto il giro del mondo. Ho lasciato un figlio nella parte australe, ho vissuto tante gioie ed emozioni in Brasile, eppure chiudo gli occhi e l’immagine di quel ponte è viva come le 40.000 persone che ogni giorno lo attraversano, lo animano, lo movimentano, lo calpestano. Gente che vive quel momento con l’entusiasmo di un bambino che corre per il piacere di farlo, per scoprire la vita, per illudersi che forse al di là troverà la risposte che tutti noi sempre e comunque cerchiamo. Mi accompagna la musica di “Back to life”, quasi propiziatoria... back home vorrei gridare al mondo, e il mio sguardo segue e si illumina con il sorriso di un bambino che, a quattro zampe, si muove e ride al mondo intero, nell’immensa sala d’attesa di Rio de Janiero, con l’unico dente che ha!

A Francoforte non ho problemi a capire che sono ritornato nel vecchio Continente, anche senza leggere o sapere la mia destinazione. Le facce sorridenti e colorate che ho lasciato sono sostituite da sguardi assenti, da visi scoloriti, da uomini in giacca e cravatta con borse da manager che affollano l’aeroporto in attesa di un volo che li porterà a concludere qualche affare importante o forse no! I pochi in jeans e con la pelle abbronzata, con i loro zaini colorati sono guardati come essere alieni, ma sono gli unici però che trasmettono serenità.

A casa mi aspetta il sorriso e la pizza di Amur e solo Dio sa quanto è buona. Mi aspetta il mio C1 preferito con i suoi occhi che mi sanno trasmettere gioia, emozione e tanta energia... il Brasile fino a fine Aprile può aspettare!


Occhio all’onda!

Commenti

Post più popolari