Un ritorno della storia


Ve l’avevo detto, capisco se non l’avessi detto, ma l’ho detto! E’ anche vero che ho cercato spesso e volentieri di fare finta di nulla o sorvolarci sopra con voli pindarici. Qualche accenno e poche righe, perché temevo di creare una sovraesposizione e annoiarvi con racconti monotema. Anche Simona Ventura è una gran bella donna e una brava presentatrice, però a volte ce la propongono in tutte le salse e quando è troppo è troppo, ma... non posso a questo punto fare finta di nulla e non raccontarvi ciò che i miei occhi hanno visto assieme ad altre 5.000 persone, secondo la questura, 20.000 secondo Berlusconi! Addirittura qualcuno, che di mestiere fa il meteorologo, mi ha accusato di divinizzare personaggi come Martikan o qualche altro slovacco. Beh se il mio amico invece di andare a camminare oggi sul monte Baldo a raccogliere le stelle alpine fosse stato qui, si sarebbe ricreduto ed inizierebbe ad appendere in camera i santini di tre C1 che oggi ci hanno riportato indietro nel tempo e più esattamente al 1979. Allora le tre bandiere erano a stelle e strisce ed era un campionato del mondo e i nomi erano quelli di Lugbill, Hearn e Robinson. Oggi è un europeo e le bandiere sono quelle slovacche. I tre sono gli stessi dell’anno scorso che nella gara di Coppa del Mondo già avevano monopolizzato il podio. Una gara di coppa però non ha la stessa intensità ed enfasi di un campionato continentale e soprattutto non aveva il seguito di pubblicità che invece ha avuto questa edizione europea. Prima rimandata ed annullata e poi recuperata a metà agosto, nel bel mezzo dell’estate.
Il primo a scendere in finale è Matej Benus, con la sua canoa marroncina che porta disegnato un fiore stilizzato, lo stesso che ha su una parete di casa, giusto prima di entrare in stanza da letto. Vive praticamente nella casa delle fate, sotto il castello di Bratislava, immerso nel bosco assieme ad una ragazza dolcissima e una delle sue due sorelle: la farmacista, non la canoista. Per arrivare alla porta di entrata bisogna camminare cinque o sei minuti per un sentierino, aprire un cancello, attraversare il giardino di alberi da frutto, e, dopo aver scavalcato alcune canoe entri nel saloncino con cucina e ripostiglio. Una scala praticamente a pioli ti porta al primo piano dove ci sono le due stanze da letto e il fiore stilizzato. Benus, solo otto giorni fa, era arrivato secondo agli europei under 23 dopo averli vinti nel 2009. La sua discesa di finale è pulita e veloce, le sue lunghe leve pescano l’acqua sempre avanti, avanti, avanti...
Martikan, in semifinale aveva fatto il minimo indispensabile per raggiungere la finale e aveva chiuso al terzo posto dietro a Slafkovsky, che invece aveva un incredibile 89,48. Quel tempo gli sarebbe valso tranquillamente la finale anche fra i K1 uomini e la vittoria finale solo se l’avesse fotocopiato nell’ultima battuta di questi europei. La storia però è andata diversamente e Martino, davanti ad un pubblico festoso e colorato, si veste a festa con manica lunga bianca attillata. Divora la prima risalita a destra con un debordè che toglie dall’acqua solo alla porta successiva. Arriva al primo intermedio, dopo circa 30 secondi, con un vantaggio su Benus di 1,41. E subito dopo arriva il capolavoro della giornata: entra nella risalita numero nove a sinistra - dalla sua per intenderci - come un fulmine e quando infila in acqua l’aggancio la barca prende velocità, ruota, si carica di energia atomica, supera la barriera del suono e si ritrova d’incanto alla dieci. Al secondo intermedio, dopo un minuto di gara, il vantaggio aumenta a due secondi, ma non è finita qui. Se il capolavoro è stato fatto alla nove, il miracolo arriva esattamente nove porte dopo e cioè alla 18 in risalita a destra sotto l’ultimo salto. Ora, solo il signore assoluto della monopala, può pensare di tenere la sua canoa perpendicolare alla corrente - e che corrente!- e contemporaneamente spostare tutto lo scafo a destra con il debordè in acqua. La cosa gli riesce a meraviglia e stento ancora a crederci ora a distanza di alcune ore rivedendo al rallentatore la sua discesa. In quel modo arriva fino a metà traghetto. Quando toglie il debordè è per fare forza dalla sua aggrappandosi a milioni di molecole di idrogeno ed ossigeno. Alla risalita successiva sa di aver fatto qualche cosa di magico ed unico, alza il fianco destro e si proietta sulla fotocellula. Solo l’ultima onda, prima di interrompere il fascio di luce, riesce a bagnargli il viso e spaccarsi sui suoi bicipiti. Forse la sete di riscossa, dopo una coppa del mondo molto incerta, viene appagata proprio da quell’ultimo spruzzo, da quell’ultimo sussulto prima che la realtà diventi già storia da raccontare.
Alexander Slafkovosky non è un maestro della fotocopia e, se pur mettendo in scena una tecnica sopraffina e agilità felina ferma i cronometri sul 91,86 più due penalità. Terzo posto per lui e trionfo per la Slovacchia. Il presidente Slovacco Cibak è al mio fianco a guardare la gara. Alla fine mi abbraccia con affetto e la prima cosa che gli viene in mente di chiedermi sono i nomi e l’anno del sogno americano. La memoria non mi tradisce, visto che sono nato e cresciuto con quella generazione, e una volta che glieli ricordo mi dice:”esatto proprio loro Ettore, oggi si è ripetuta la storia”. Mi sono permesso di aggiungere il fatto che però oggi il sogno lo stava vivendo lui!

Mi aspetta il pollo con la paprika e le verdurine alla griglia, domani vi racconto com’è andata per il resto della giornata, non voletemene male, ma Amur ha già messo tutto in tavola e la fame si fa sentire.

Occhio all’onda!

Cunovo, 15 agosto 2010 - Campionati Europei Slalom - giornata di finali

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